mercoledì 24 giugno 2009

San Joan






Una volta di piú questa cittá mi stupisce, e una volta di piú capisco perché cosí tanta gente, soprattutto ragazzi, ne restino immancabilmente stregati, rapiti.

Difficile descrivere l’atmosfera, sono solo in grado di ritrarre momenti.
Cercano di convincermi i miei amici che si tratta di una festa “per ragazzini”, che la bolgia della spiaggia é qualcosa d’insostenibile, eppure il cielo terso e la temperatura ormai estiva prendono il sopravvento sulle mie decisioni…
Sulle strade, man mano che ci avviciniamo alla mar bella, orde di gente di varie nazionalità si muovono come fossero una sola entitá, la maggior parte porta frigoriferi pieni di bevande, panini, immancabile il costume da bagno, e immancabile il botto aritmico dei petardi che mi accompagna senza tregua dal pomeriggio.
Tradizionalmente per questa festa si accendevano falò… oggi si sparano petardi: i giorni precedenti il 24 giugno inizio a percepire girando in moto qualcosa che inavvertitamente stona con la tranquillitá dei catalani: ma certo, i manifesti di pubblicità allo sparo dei petardi, e dei negozi che vendono petardi; l’ayuntamiento non delude neanche questa volta: sulla pagina web trovi nomi e indirizzi dei negozi dove comprare il gioco proibito per tutto il resto dell’anno (incluso a capodanno), istruzioni d’uso, e link alle informazioni sui rischi di un uso scorretto dello stesso.
Tutto ció mi intenerisce un po’ se penso al nostro capodanno, dove sei a rischio di vita a cominciare dalla vigilia di natale. Eppure è allo stesso tempo uno dei principali motivi per cui questa terra mi attira tanto.

San Joan rappresenta l’inizio delle’estate, che battezza i tre elementi di terra, aria e acqua: ma come per tutte le feste la parte religiosa e la parte pagana si mischiano, si sommano alle usanze, si moltiplicano per gli anni che passano, si elevano alla potenza del cambio generazionale e… magicamente il risultato di questa improbabile equazione siamo io e Annamaria all’una di notte aggirandoci nella spiaggia di Poble Nou oscura e affollata come una discoteca, cercando senza successo il gruppo di amici che si trovano solo a due passi da noi!
La gente é li tutt’intorno distesa o danzante, la musica incalza provenendo dai vari chiringuitos, e dove non c’é la musica ci sono le risate delle persone da ogni lato, sdraiati sulle stuoie che hai paura di mettere il piede sui uno zaino, di rovesciare qualche bottiglia di birra sulla sabbia, ma loro neanche ci fanno caso a te, persi nell’ebbrezza della “notte piú corta dell’anno”.

martedì 9 giugno 2009


Detesto non dormire. Ecco, é cosí che passo la vigilia del mio compleanno: sveglia in attesa di nascere, di rinascere… una rinascita lenta, cosí come sono i miei tempi: mi formo, tempi di gestazione, il travaglio, il dolore, il pianto e poi la nascita. Attendo paziente il mio momento. Un altro dei paradossi astrologici dei gemelli: l’impazienza e l’immobilitá allo stesso tempo. Viaggio con la mente, rapida, che mai si ferma, eppure sono immobile: le mie mani non riescono a stare dietro ai pensieri; il turbine mi inghiotte e non so quale sia il primo piede da muovere.
Nasco…

martedì 26 maggio 2009

Atene, Grecia

Getto la spugna: la forchetta vince sul cornetto ancora una volta, ahimé.............
ragazzi ora l'unica cosa che mi resta é la speranza, e magari un appello su Facebook.

giovedì 14 maggio 2009

NH Eurobilding, Madrid

Vivendo in hotel ormai da mesi hai anche modo di scoprire lati della natura umana mai esplorati prima: parliamo di questi bellissimi hotel 4 stelle per esempio, nel centro della cittá, camere splendenti con idromassaggio e TV ultrapiatto, e umanitá di ogni tipo.
Passino quelli che si atteggiano a super manager, passi il sushi a colazione, passi la saponetta che ti cambiano ogni giorno in stanza… ma la scena cui ho assistito stamattina non posso proprio farla passare: un uomo sulla cinquantina, spagnolo, seduto al tavolo di fianco al mio stamattina facendo colazione. Io mi aggiro nella sala ristorante ancora un po’ addormentata, dribblando vassoi di sushi e cercando di localizzare velocemente (visto il mio perenne ritardo) la sezione latte e cereali, poi torno al mio posto vittoriosa. Ahimé, lo sguardo cade sul mio vicino irrimediabilmente nel momento sbagliato: lo vedo alzare un braccio munito di forchetta e dirigersi imperturbabile verso una povera fetta di torta della nonna giacente nel piattino bianco. L’uomo, con gesto solerte e minuzioso ne taglia un pezzo come fosse una tenera bistecchina, e con la stessa forchetta dirige il suddetto pezzo di torta verso la tazza di…. CAPPUCCINO.
Ahi mons. Giovanni Della Casa che ti stai rivoltando nella tomba!!

Mi torna irrimediabilmente alla testa la bellissima scena di Kamikazen di Gabriele Salvatores: Paolo Rossi che lavora come facchino in stazione centrale a Milano, fa colazione alle 6.30 del mattino immergendo godurioso il suo cornetto nella schiuma del cappuccino, e addentandolo… solo che il cornetto in questione è un Cornetto Algida: storica e mitica affermazione del nostro cornetto, in una cittá in cui viene esoticamente chiamato brioche.

Siamo nella moderna fattoria degli animali: dopo che i maiali si sono guadagnati una sembianza umana, pian piano l’uomo si sta guadagnando una sembianza da manichino. Ahi George Orwell, cosa diresti se mai tu avessi provato la goduria di affondare un bel cornetto alla crema nella spuma di un cappuccino, facendo fatica ad arrivare al latte senza che la stessa spuma strabordi festosa dalla tazza J

Ragazzi per favore non fatelo mai… my dear friends please: NEVER EAT A CROISSANT WITH SPOON AND KNIFE!!!

giovedì 16 aprile 2009

Parigi

Due cose mi mancano incredibilmente in questo periodo: gli amici e una casa.
È curioso, erano le ultime due cose di cui credevo avrei mai sentito la mancanza!
Vivendo lontano dalla famiglia da tanti anni, gli amici sono sempre stati la mia famiglia, una famiglia numerosa e preziosa, una fortuna. Ne ho sempre avuti tanti benché, come per tutti, pochi siano quelli veramente importanti; alcuni di questi sono sempre stati vicini, altri lontani da me eppure siamo riusciti a mantenere un rapporto stupendo.
Un amico: che si viene a prendere il caffè per perdere un po’ di tempo chiacchierando; che si spupazza te i tuoi pianti un intero weekend perché hai litigato col fidanzato; che torni da Barcelona all’una di notte e ti dice vieni a dormire da me che almeno domani mattina hai il caffè e i biscotti per fare colazione; che quando sei nella stessa cittá cascasse il mondo vi dovete vedere almeno per un saluto; che tu gli dici vengo a trovarti con due persone prepara i letti per tutti; che non vi vedete da 2 anni e sembra ieri; che ti chiama ogni tanto solo per sapere come stai; quello che tu non ti fai sentire mai e non si arrabbia, anzi ti dice ero preoccupato perché non mi chiamavi…
E potrei andare avanti; potrei usare un aggettivo maschile o femminile, singolare o plurale, sarebbe lo stesso.
Per non parlare della casa: da quando ho memoria la casa è il luogo dal quale non vedo l’ora di allontanarmi! Mi sono sempre identificata con quella che Baudelaire definí “la grande maladie: horreur du domicile”.
Eppure che strano, la casa è pur sempre una cosa che ci identifica, ci rispecchia, contiene una parte di noi e la custodisce anche quando siamo in viaggio, in vagabondaggio, in walkabout… come adesso…

venerdì 3 aprile 2009

Istanbul


















Istanbul risveglia anche i morti. E ha risvegliato spontaneamente la mia voglia di scrivere assopita ormai da tempo. Assopita altrettanto spontaneamente nel tepore di notti sotto il piumone e tra mille cuscini, di nuove serate, del rush lavorativo che si fa ormai sempre piú pressante. Ma questa notte non è fatta per dormire né per alcuna delle altre cose; no, questa notte è fatta per scrivere.
Ieri parlando con Erkan a proposito del “city center” lui mi ha spiegato che qui non esiste un centro cittá, ma tanti centri di tante cittá, in una… ed è vero.
La dualitá di Istanbul si vede subito nelle sue parti principali: quella islamica curiosamente addossata sulla sponda europea, e quella occidentale e moderna ancora piú curiosamente distribuita sulla sponda asiatica. Ma poi ci sono ancora il centro storico, il centro politico, il centro del business etc… e cosí stasera lascio quasi a malincuore la mia enorme stanza al Byotell ***** (cinque stelle), stanza della quale ho sfruttato appena un angolo di letto, e pochi metriquadrati attorno allo stesso: hey non sono piú abituata a spazi abitativi grandi!!
Stamattina prima di uscire ho fatto una foto dalla finestra: enormi grattacieli, arterie di autostrade imbottigliate dal traffico, e cielo grigio e inquinato, ribattezzata subito Pioltello Anatolica.
Eppure Istanbul è anche questa, e forse è proprio qui la sua meraviglia.
Questa volta ho iniziato a scoprire una cittá nuova…
Ancora una volta alle elezioni è passato, benché con scarsa maggioranza, il partito di Erdogan: l’AKP, partito moderatamente islamico; eppure qua dove mi trovo nulla lascia trasparire l’imposizione della cultura islamica: le ragazze vestite bene (mediamente meglio delle spagnole…oops!), tacchi alti e truccate, se ne vanno allegramente in giro con i colleghi. In ufficio è immancabile il quadro troneggiante del ritratto di Ataturk, cosí come è immancabile il collega che di tanto in tanto entra in sala riunioni, portandoci the servito nei tradizionali bicchierini a forma di ampolla.
Con i colleghi si crea subito un clima cameratesco, simile a quello che si vive a Roma, o nel sud italia; e questo mi aiuta ad allentare un po’ la tensione perenne che sento aggrappata alle spalle per tutto il tempo della formazione.
La gente è ospitale in un modo che quando sei turista non percepisci appieno: immagini sempre ci sia un secondo fine; senza parlare di Aydin che mi chiama la sera del mio arrivo all’aeroporto per parlare con il tassista e spiegargli come arrivare al mio hotel.
Ma passiamo alla magia.
Stasera io e Aydin saliamo in macchina per passare nell’altra parte del mondo: decide di prendere un “ferry”, perché il ponte alle 8 di venerdì sera è troppo trafficato.

Ahi il porto della sponda asiatica!!! Uno dei ricordi migliori della vacanza del 2007, in cui cinque pazze del “discovery core”, accompagnate dall’immancabile marito comune (il mitico Pietro), lasciano la stazione e si avventurano su un’improbabile strada buia e deserta, per sbucare sul fantastico lungomare pieno di luci e baracchini. Qui procederanno alla cerimonia di iniziazione dei propri apparato digerente e sistema immunitario deliziandoli con il pesce del Bosforo alla griglia.
La specie di pesce mangiato rimane tutt’ora un mistero, e lo spettacolo sulla sponda opposta che si stagliava ai nostri occhi rimane ancora nitido nella mia mente.

Il traghetto è assurdamente veloce ad imbarcare fiumi di macchine, e in pochi minuti si avvia dalla sponda anatolica, verso il mondo delle favole. E certo perché è proprio questo che sembra: un’orizzonte costellato di luci abbarbicate, i palazzi e le moschee piú grandi illuminate… mi sono sempre chiesta come mai il Bosforo abbia sempre ispirato nella storia cosí tanta magia, in fin dei conti è una costa piena di belle case e monumenti importanti come ve ne sono tanti al mondo; eppure mi accorgo che non c’è una spiegazione logica per questo, se non forse il popolo turco che lo rende tale.
Nel frattempo Aydin si diletta incredibilmente a indicarmi tutti i monumenti, e a raccontarmi storie e leggende di alcuni di essi, mi spiega la cittá, le penisole e il corno d’oro, le caratteristiche della parte turistica, di quella notturna.
Dopo aver fatto il check-in all’hotel, o meglio dopo che LUI avrà fatto il check-in per me, chiedendo qualsiasi tipo di informazione e facendomi portare le valigie in camera, attraverseremo il ponte del corno d’oro, la zona di Galata e di Taksim, e ce ne andremo a mangiare nella zona moderna e notturna della cittá, ai piedi di quello che chiamano comunemente “il secondo ponte”, un ponte sospeso con la struttura illuminata che cambia magicamente colore.
È fantastico questo modo di fare al quale non siamo piú abituate noi donne emancipate dell’era moderna. Sono due giorni che tutti i colleghi mi trattano cosí, cosa che peraltro normalmente non tollero, eppure qui fa parte del tutto e io li lascio fare divertendomi un sacco. Ma ancor piú mi ha divertito Ali Arda che è stato l’unico, sgamato com’è da parte di uno che ha vissuto in mezzo mondo, ad avere la scaltrezza di chiedermi “di dove sei?”, “del sud Italia”, “allora direi che sai badare a te stessa in questo posto” scoppiando in una sonora risata J

La velocitá del viaggio in traghetto è stata tuttavia compensata dalla mezzora abbondante che perdiamo alla ricerca dell’hotel girando continuamente attorno allo stesso isolato che, misteriosamente, ad ogni giro cambiava faccia… è un labirinto infernale e paradisiaco allo stesso tempo (oddio, paradisiaco per me, Aydin alla guida del SUV, e alle prese con le continue richieste di informazioni immagino se la passi meno bene). Ormai ho imparato a memoria l’esordio del dialogo “iyi aksamlar, Arena Hotel nerede?”, segue geroglifico sonoro tra le due persone… manco i tassisti sanno spiegare dove sia la famigerata via Kuçukayasofia… uno dei essi addirittura ci da’ un indicazione di cui Aydin non si fida, e lo vediamo rincorrerci a piedi tutto affannato perché ci ha visto prendere una direzione diversa!! Io nel frattempo mi guardo intorno, sempre piú persa nel vortice del fascino della cittá vecchia, e dei ricordi di Kuçuk Ayasofia camii quel famoso luglio 2007.

mercoledì 7 gennaio 2009

sono le undici di sera, fuori penso meno 10 gradi. io ascolto un cd di Booka Shade...sapete quella musica da discoteca alle 5 delmattino: un po' ipnotica, un po' monotona, elettronica...
ho una voglia matta di scrivere. Ecco questa é una di quelle sera in cui potrei scrivere senza guardare: ho nella testa chiare le parole, i testi, il filo conduttore...un attimo da cogliere, ma domani mi aspetta una giornata pesante accidenti. Devo proprio chiudere.